Luigi Pirandello. Il fu Mattia Pascal





"Una delle poche cose, anzi forse la sola ch'io sapessi di certo era questa: che mi chiamavo Mattia Pascal.Eme ne approfittavo".
Dunque Mattia Pascal, il protagonista del romanzo, è all'origine un pirandelliano "uomo senza qualità", appena un nome: il nome era un tempo per il protagonista l'unica certezza, e lo ripeteva  a sé e agli altri per riconoscere almeno in quel suono la sua presenza.
Il romanzo, Il fu Mattia Pascal, contiene la rappresentazione del dramma esistenziale di ogni uomo che vaga attraverso la vita alla ricerca di una dimensione e di una identità personale. Di fatto, Mattia Pascal scopre che le convenzioni sociali cui ha voluto sottrargli sono qualcosa di vincolante, ma anche di insostituibile: è inutile che l'uomo cerchi di realizzare se stesso, perché non riuscirà mai a uscire da regole e norme che, mentre lo condizionano, sono altrettanto indispensabili per la sua esistenza. Quindi l'uomo vale solo in virtù di elementi e fattori estranei alla sua realtà di persona.
E' questa l'ultima conseguenza di quel fallimento globale del mondo ottocentesco: la totale scomparsa dell'eroe, la totale scomparsa di una immagine tradizionale dell'uomo.
Già negli ultimi decenni dell'Ottocento, infatti, nella letteratura si cominccia ad avvertire un senso di stanchezza e di amara delusione che rispecchia la situazione psicologica in cui si trova la società borghese post-risorgimentale: l'uomo si trova solo e deluso denza fede e speranza dopo che tutti i sogni di rinnovamento sociale e di progresso civile sono svaniti nel nulla.
Luigi Pirandello inizia la sua attività di scrittore nel primo trentennio del Novecento, un periodo assai confuso e agitato non soltanto sotto l'aspetto politico e sociale - gli anni in cui si prepara la prima guerra mondiale, gli anni in cui si vive la grande tragedia europea e quelli che ad essa seguono - ma anche sotto il punto di vista letterario. Si abbandonano, infatti, i canoni del Naturalismo e del Verismo per puntare su un'indagine psicologica sempre più approfondita della crisi esistenziale dell'uomo.
Per Pirandello "la differenza fra i novellieri e i romanzieri cosiddetti naturalisti e gli autori della novella e del romanzo psicologico è questa: che per gli uni, per i naturalisti, un pensiero può essere descritto in tanto quanto può essere descritto, e cioè intanto in quanto giunge a un atto, a una parola esterna. Per gli psicologi ha valore anche prima di essere giunto all'esterno, anche prima di aver vita sensibile fuori del personaggio che pensa o che sente. I due metodi non si escludono, si potrebbero anzi fondere e dovrebbero essere fuori nel romanzo perfetto. Gli psicologi in fondo ostentano un lavoro che per i naturalisti è solo preliminare. Essi dicono i primi perché: i naturalisti li studiano quanto loro, li cercano, li ponderano e presentano al lettore gli effetti di quei perché"
Quindi in questo clima di umano sconforto dell'uomo alienato e sospeso alle sue vane ribellioni e alla sua solitudine senza approdo, nasce Il fu Mattia Pascal.
Giovanni Cena, direttore della "Nuova Antologia" romana, chiede a Pirandello un romanzo per la sua rivista: sembra - come sostengono alcuni critici - che egli si sia accinto alla stesura di questo suo capolavoro anche perché mosso da necessità economiche.
Il 1903 è l'anno che segna la grande crisi familiare dello scrittore a causa dell'improvviso tracollo finanziario di suo padre, in seguito all'allagamento di una miniera di zolfo nella quale egli aveva impegnato non soltanto tutti i suoi capitali ed anche, forse in modo non del tutto corretto, la stessa dote della nuora a lui affidata come un proficuo investimento.
La crisi costringe Pirandello ad abbandonare il precedente atteggiamento umanisticamente disinteressato nei confronti della lettura e dell'arte, a esigere il pagamento delle proprie prestazioni intellettuali, e a cercare denaro e successo attraverso il romanzo.
Il fu Mattia Pascal viene pubblicato a puntate quindicinali nella "Nuova Antologia" dal 16 aprile al 16 giugno 1904, riscuotendo un grande successo: subito tradotto in Francia e in Germania, gli apre le porte del maggior editore del tempo, i fratelli Treves di Milano (1910). Così scrive Pirandello: "Dopo questo romanzo fortunato entrai nella Casa Treves, che ha già pubblicato tre mie raccolte di novelle, Erma bifronte, La vita nuda e Terzetti, oltre la ristampa dell'Esclusa e dello stesso Il fu Mattia Pascal.
Ne Il fu Mattia Pascal il nucleo narrativo originario è un topos romanzesco che è stato molto sfruttato: il racconto di un "morto-vivo". Pirandello, ristampando il romanzo nel'21, vi allega una Avvertenza sugli scrupoli della fantasia,in cui dopo aver confutato le accuse di "inverosimiglianza" e dell'assurdità dell'intreccio, registra due avvenimenti di cronaca altrettanto "assurdi", ma fatti accaduti, e non invenzioni. L'autore sottolineando l'imprevedibilità della vita e la sua superiore inventiva - o assurdità - rispetto alla fantasia, vuole richiamare l'attenzione sulla triste verità di quella favola apparentemente paradossale sul suo sapore di verità vissuta e sul suo significato di esemplare esperienza dell'uomo.
Tuttavia Borsellino afferma che Pirandello in quella occasione trascura di ricordare gli antecedenti tematici che gli dovevano essere noti. Intanto quello della Bufera di Calandra (1898), dove un marito per motivi politici esce dalla scena familiare senza più fare ritorno, ma soprattutto quello di Redivivo di De Marchi (1895), un romanzo apparso a puntate nel "Mattino" di Napoli e nell' "Italia del popolo".
A causa di un dissesto patrimoniale e di un fallimento matrimoniale abbandona la famiglia; un falso attestato di morte per erroneo riconoscimento di cadavere provoca la sua decisione improvvisa di accettare la morte anagrafica e di scegliere una nuova vita come una nuova identità. A differenza di Mattia pascal, il redivivo demarchiano  al suo ritorno risponde la sua seconda identità esiliandosi in una terra lontana: il Giappone. Inoltre, che Pirandello lo conoscesse è testimoniato dalla presenza di Redivivo tra i suoi libri.
Quella di Mattia Pascal è la storia di un modesto bibliotecario comunale di un paesino ligure, Miragno. Era figlio di un capitano di mare, che morendo, quando Mattia aveva appena quattro anni, ha lasciato - ("santa donna, d'indole schiva e placidissima ma inesperta della vita e degli uomini") - e i due figli Mattia e Berto affidati nel frattempo ad un precettore di nome Pinzone - ("che una erudizione tutta sua particolare, curiosa e bislacca") - si lasciano derubare di tutto da Batta Malagna, fisicamente simile a "un pagliaio nano e panciuto"; è la "talpa" che, come amministratore, "scava giorno per giorno la fossa sotto i piedi" dei due giovani Pascal e della loro ingenua madre. Il Malagna, dopo la morte della moglie - (Guendalina, "donna fastidiosa e prepotente che non gli ha dato neppure un figlio") - ossessionato dal pensiero di non avere eredi, tanto più ora che è diventato ricco, e forse anche dalla voce che circola di una sua incapacità di procreare, si è portato in casa, serva e amante, e poi moglie una giovane contadina, Oliva.
Nello stesso tempo frequenta la casa della cugina, Marianna Dondi - (vedova Pescatore "una donna arcigna ed intrigante") - che ha una bella figlia, Romilda, di cui è innamorato Pomino.
Mattia Pascal avvicinatala, per conto dell'amico Pomino, preso dal fascino della ragazza la fa sua. Quando si scopre che Romilda è incinta, Malagna, offre di adottare il bambino che sarà poi il suo erede, trovando un modo anche per capovolgere le dicerie del pettegolezzo nei suoi confronti.
Mattia Pascal ha una relazione anche con Olivia, ed anche la moglie di Malagna è incinta di lui. Il marito convinto ad essere lui il padre, ora che ha raggiunto questa sua aspirazione, non adotta il bambino che nascerà da Romilda, la quale sarà sposata da Mattia. Così Mattia si ritrova non soltanto ad aver tradito la fiducia dell'amico Pomino, ad avere assecondato le ambizioni dell'odiato Malagna, ma anche prigioniero di una tumultuosa ed umiliante situazione di famiglia, sottoposto com'è ai continui riscatti della suocera, presso la quale, essendo ridotto in condizioni di miseria è costretto ad abitare insieme con la moglie. Ma un giorno - preso anche dal dolore per la duplice scomparsa della madre e della figlia - trova la forza di reagire e si allontana da casa. Pensa di imbarcarsi a Marsiglia pert l'America, alla ventura, ma scoraggiato dai suoi precedenti fallimenti, cambia idea e si ferma a Montecarlo dove vince alla roulette una considerevole somma. Mentre è inebriato dall'improvvisa fortuna che lo ha trasformato in un uomo ricco, legge sul giornale la notizia delle sua morte. Un uomo è stato trovato in una gora e il cadavere, quasi irriconoscibile, è stato riconosciuto dai parenti come quello di Mattia Pascal. Il caso che lo ha reso finalmente ricco e libero: Mattia Pascal è morto e da questo momento egli potrà vivere una nuova vita sotto il nome di Adriano Meis. Ma ben presto si accorge dell'impossibilità di rifarsi una vita, e di liberarsi dalle forme che la società impone a tutti. Infatti, stabilitosi a Roma, s'innamora di Adriana - ("una signorinetta piccola, bionda, pallida, dagli occhi cerulei, dolci e mesti") - , figlia del proprietario della pensione, Anselmo Paleari - (un vecchio capostazione ministeriale a riposo che si occupa anche di occultismo e di spiritismo) - , ma non può sposarla perché Adriano Meis non figura in alcun registro di Stato civile; viene derubato da Terenzio Papiano  (cognato di Adriana, avendone sposato la sorella Rita, che è morta; Papiano vive col fratello Scipione nella pensione, alle spalle del suocero e della cognata ) e non può denunciare il furto. I contatti con gli altri diventano sempre più difficili: si sente solo, smarrito, deluso e l'equivoco delle due vite gli si rivela ancora più funesto della precedente situazione: per questo decide di "uccidere" Adriano Meis, deponendo, come testimonianza della sua seconda morte, il cappello e il bastone sul parapetto di un ponte del Tevere, con accanto "Adriano Meis suicida". Riacquistata la forma di Mattia Pascal, ritorna al paese, dove apprende che la moglie si è risposata con Pomino ed è madre di una bambina. La legge gli consentirebbe l'annullamento di qel matrimonio, ma egli comprende che ormai non può più inserirsi nella vita degli altri. Tuttavia resterà a M /iragno, ospite di una vecchia zia - (la zia Scolastica, sorella del padre di Mattia, "zitella energica e volitiva") -, passando i suoi giorni nelle biblioteca municipale insieme a don Eligio Pellegrinotto - (bibliotecario della fondazione Boccamazza, amico e protettore di Mattia, al quale consiglia di scrivere la sua storia sul modello di quelli scovati nella biblioteca) - e andrà qualche volta a deporre un fiore sulla tomba dove giace l'ignoto suicida che è stato sepolto come Mattia Pascal.
Questa conclusione, che nel romanzo ha la dimensione di una avventura eccezionale del personaggio, diventa consapevole ricerca e sistemazione ideologica nel successivo , L'umorismo; anzi la prima edizione di questo lavoro sottolinea la correlazione col romanzo, mediante la dedica "Alla memoria del fu Mattia Pascal, bibliotecario".
In effetti, la poetica dell'umorismo viene elabora da Pirandello nei primi anni del nuovo secolo, fra Il fu Mattia Pascal (1904) - che non solo è la prima applicazione poetica ma ne favorisce anche - soprattutto nelle due Premesse iniziali e nel cap.XIII, Il Lanternino alcuni presupposti teorici - e il saggio L'umorismo (1908).
Tuttavia se nella Premessa seconda de Il fu Mattia Pascal fa dipendere l'atteggiamento umoristico dalla scoperta di Copernico e dal conseguente relativismo, nel libro del 1908 si legge che "l'umorismo non è una prerogativa di questa o quella razza, di questo o quel tempo", tanto è vero che sarebbe rinviabile sia nell'"antica Grecia che nell'Italia moderna".
Sia la fiducia in una conoscenza certa e oggettiva sia quella nel potere di un soggetto in grado di dare forma e senso al mondo e alla propria giustificazione nello'antropocentrismo Tolemaico; caduto il quale, si è entrati nell'epoca della modernità o del Relativismo Assoluto.
Ciò non significa che tutte le manifestazioni culturali e artistiche successive a Copernico siano coerenti con i risultati delle sue ricerche e con la nuova coscienza della condizione umana. Anzi l'uomo tende a opporle resistenza, quasi necessaria alla sua stessa esistenza che ha sempre bisogno di illusioni. Ad esempio, i modelli tradizionali di romanzo ottocentesco - di cui Mattia Pascal offre un'ironica rassegna - pretendono di fornire un senso sicuro e non tengono conto della relatività di ogni verità. Mattia Pascal, infatti, dichiara di narrare la propria vicenda solo "per distrazione" dalla consapevolezza che sia la vita sia la scrittura non hanno srnso alcuno.
Tale dichiarazione è il segno della novità storica di Pirandello e della sua lontananza, già ne Il fu Mattia Pascal, dal romanzo ottocentesco: l'autore invalida sin dall'inizio l'autorità e la "verità" della sua stessa narrazione.
Assumono valore teorico anche le pagine del capitolo XIII, Il Lanternino, circa quella singolare filosofia divulgata da Anselmo Paleari, il quale voleva dimostrare ad Adriano Meis "che per nostra disgrazia, noi non siamo come l'albero che vive e non si sente [...]. A noi uomini, invece, nascendo, è toccato un triste privilegio: quello di sentirci vivere, con la bella illusione che ne risulta: di prendere cioè come una realtà fuori di noi questo nostro interno sentimento della vita, mutabile e vario, secondo i tempi, i casi, la fortuna. E questo sentimento della vita per il signor Anselmo era come un lanternino che non ci fa vedere sperduti sulla terra e cfi fa vedere il male e il bene...".
L'uomo che vive la vita dell'universo, a causa del "sentimento della vita" che è la coscienza individuale, ne è separato: la coscienza individuale è fonte di separazione pertanto, la realtà autentica è al di là della coscienza e quindi estranea all'uomo. Quest'ultimo o subisce l'inganno della propria prospettiva, soggettiva o illusoria, o, se ne avverte l'arbitrarietà e l'errore, si trova di fronte al nulla, al vuoto, all'abisso: alla pura estraneità.
Il romanzo è scritto in prima persona, a vicenda conclusa, secondo i moduli di una narrativa retrospettiva. Fine e inizio corrispondono dato che le battute iniziali presuppongono il livello di ciascuna raggiunto alla fine della storia.
In effetti il "fu" Mattia Pascal è protagonista tanto dei primi due capitoli, quanto degli ultimi due.
Dal capitolo III al IV protagonista è il giovane Mattia, Mentre, dopo un capitolo di passaggio, in cui Mattia decide di farsi passare per morto, dal capitolo VIII al XVI protagonista diventa la sua seconda incarnazione, Adriano Meis.
Quindi si tratta di un romanzo che all'interno ne contiene altri due, che corrispondono anche ai due habitat geografico-storici dell'ispirazione di Pirandello, quello regionale, tipicamente siciliano-girgentano e una certa squallida Roma piccolo-borghese, alla quale non manca peraltro una connessione autobiografica: quello del Mattia scapolo e ammogliato: un'esistenza sbagliata, negativa in tutti i suoi aspetti, che rammenta al protagonista il fallimento della sua vita, nella famiglia e nel lavoro; l'altro in cui il protagonista si ribella a questa situazione, diventando il finto Adriano Meis, che si illude di rifarsi un'esistenza libera e felice fuori dai legami sociali e dagli schemi convenzionali. Ma proprio quando sente rinascere in sé la vita e l'amore, si accorge che la sua nuova esistenza e la sua libertà sono illusorie ("vedevo in tutta la sua crudezza la frode della mia illusione"); ancora una volta si sente escluso dagli affetti; "l'ombra di un morto" era la sua vita, "ma aveva un cuore quell'ombra, e non poteva amare". Infine il terzo romanzo è una storia di antiromanzo: infatti, attesta una condizione di acronia - una sospensione del tempo, un eterno presente - che sblocca l'impossibilità di qualsiasi sviluppo narrativo. Il "Fu" Mattia Pascal ha rinunciato a vivere e così si è sottratto al ricatto dello scorrimento lineare del tempo. non vuole essere una "persona" e così non è più un personaggio tradizionale, ma è diventato personaggio. Ormai vive fuori del tempo lineare e fuori dello spazio sociale (quest'ultimo è ridotto, infatti, a luoghi morti e di dialogo con i morti: la biblioteca abbandonata, al cimitero, il letto dove morì la madre e ora dorme Pascal).
 Come scrive Leone de Castris "il personaggio è l'uomo, che ha perduto la sua forma, il suo centro, la ragione del proprio soffrire [...]. Ebbene, egli torna a formulare in eterno la sua insistente e vana richiesta di un autore che lo fissi per sempre, di una ragione che appunto lo liberi dalla condanna e lo restituisca alla garanzia assoluta di un destino".
La coscienza del vivere è dunque la dimensione di Mattia Pascal: La vita è prigione di forme provvisorie e vane, oppressive e alienanti: la nostra personalità resta soffocata sul nascere, perché la società ci coarta con i suoi pregiudizi e le sue consuetudini, che finiscono per inaridire lo slancio vitale e per fare di noi delle personalità schematizzate senza volto.
Del resto tutta l'opera pirandelliana dalle novelle ai drammi e ai romanzi, è concentrata nella rappresentazione del contrasto esistente nell'individuo tra quello che egli è  e quello che vorrebbe essere o, come dice lo stesso Pirandello, tra la "maschera" e il "volto". Così quando l'individuo si ribella, evade, rifiuta le convinzioni e l'artificio di una "maschera" odiata e intraprende il suo viaggio di redenzione, cercando altre individuazioni più vere, la libertà, l'amore autentico, la  giustizia, gode del suo ritorno ad una coscienza pura e senza condizioni e, come Mattia è "in disponibilità, che ignora il quid più profondo e originario di sé stesso", la "specifica vocazione della sua energia vitale"
Tuttavia il culmine di questa esperienza coincide con lo smarrimento della libera coscienza che rivela all'individuo la necessità di inventare
una nuova forma che lo riallacci alla realtà. L'estraniazione dolorosa della vita di chi è cosciente diviene un motivo fondamentale della concezione pirandelliana: il contrasto fra inconsapevolezza illusoria e ingannatrice, ma viva, e consapevolezza al riparo da ogni inganno, ma arida e vuota, si configura nel pensiero di Pirandello come contrasto tra inconsapevolezza identificata con la vita, e consapevolezza come arresto di vita.
Leone de Castris sostiene che quelli di Pirandello "I personaggi più alti [...] sono i personaggi ragionatori, quelli ai quali, lungi dall'offrire la soluzione o la consolazione del loro soffrire, la ragione fornisce - nella misura spietata del paradosso - la coscienza più profonda e disperata del loro dolore, l'impasse più irresolubile della loro umanità: uno strumento di tortura, il più infelice perché il più umano, l'eredità più tragica e la più vana illusione di quella civiltà storica della quale il personaggio pirandelliano rappresenta la stilizzazione negativa".
Il romanzo, più che compiuta opera d'arte, è un documento interessante per l'impegno dello scrittore di chiarire, attraverso la tecnica narrativa del soliloquio più consona alla storia di una vicenda interiore, la sua concezione di vita. Le situazioni del protagonista sono già di quelle che noi diciamo tipicamente "pirandelliane" (ribellione della "forma", desiderio di vivere la "vera vita", sdoppiamento della personalità, solitudine, ecc.), e diventeranno i temi dominanti della successiva produzione di Pirandello scrittore e drammaturgo.
Nel 1035 viene fatta la riduzione cinematografica de Il fu Mattia Pascal , con la regia di Marcel L'Herbier; Pirandello assiste personalmente alle riprese. Alla fine del film si ammala di polmonite e muore, il 10 dicembre, nella sua casa romana in Via Antonio Bosio 15.
Suggestive queste righe tratte dalla "Lettera autobiografica": "Io penso che la vita è una molto triste buffoneria, poiché abbiamo in noi, senza poter sapere né come né perché né da chi, la necessità di ingannare di continuo noi stessi con la spontanea creazione di una realtà (una per ciascuno e non mai la stessa per tutti) la quale di tratto in tratto si scopre vana e illusoria - chi ha capito il giuoco, non riesce più a ingannarsi; ma chi non riesce più ad ingannarsi non può più prendere né gusto né piacere alla vita. Così è.
La mia arte è piena di compassione amara per tutti quelli che s'ingannano;  ma questa compassione non può non essere seguita dalla feroce irrisione del desiderio, che condanna l'uomo all'inganno.
Questa, in succinto, la ragione dell'amarezza della mia arte, e anche della mia vita".